Mazza e panella
Gesù sculacciato da Maria.
I miei ragazzi del catechismo erano rimasti sorpresi quando, un mercoledì sera, ho mostrato loro una riproduzione di questo quadro.
Anche un po’ scioccati, come davanti a una specie di sacrilegio, si aspettavano senza dubbio che il parroco gli proponesse l’immagine di un saggio bambino Gesù sulle ginocchia di una Maria vestita del suo abituale abito blu pastello e del suo velo bianco, calma e buona.
Allo stesso tempo questo quadro li affascinava poiché osava mettere in mostra la profanazione della religione insipida e un po’ noiosa, che essi erano disposti a rispettare visto che erano stati mandati per questo al catechismo, ma percepivano che le sue grandi affermazioni dottrinali, i suoi dogmi ufficiali, le sue credenze spesso incomprensibili, non rispondevano affatto ai loro desideri, ai loro impeti, ai loro entusiasmi giovanili.
Max Ernst non è nostro contemporaneo. Aveva 80 anni quando dipinse a Parigi questa provocazione e i due personaggi rappresentati in sua compagnia dietro la piccola finestra sono i suoi amici André Breton e Paul Éluard. Come gli altri surrealisti Magritte, Miró o Dalí, lui immagina un mondo più vivo, più umano, quindi unico. I miei ragazzi avevano amato questo dipinto.
Maria e Gesù sono liberati dall’armatura dorata dei dogmi in cui la teologia bizantina li ha fissati e resi irriconoscibili. Max Ernst li rende più vicini a noi di quanto riescano a fare le immagini ufficiali che ci narcotizzano nel dipinto, proiettandoci in un mondo soprannaturale e irreale.
«Quindi Gesù è stato uno come noi», mi ha detto uno dei ragazzi. Lui ha avuto dei problemi, in alcune cose è senza dubbio riuscito in pieno, in altre è stato ostacolato. È stato punito, colpito. È stato disgraziato, ansioso, ma anche contento. Gesù, che ha perso la sua aureola, così come noi che da tempo abbiamo perso la nostra, non è un dio venuto per passeggiare un momento sulla terra, facendo finta di essere come noi. Egli è nostro fratello, condivide la nostra esistenza e lo si può ascoltare e amare molto meglio delle persone soprannaturali della santa Trinità, che sono talmente superiori, in-umane e allo stesso tempo inquietanti.
E Maria non somiglia affatto alle incredibili statue dolciastre e asessuate delle nostre chiese; è una madre viva e passionale. Ella ha conservato la sua aureola, ma è vestita di una camicia rosso violento che il verde della sua gonna fa ancor più risaltare e siede di sbieco su un masso e la mano che alza è potente e temibile.
Max Ernst li ha rappresentati nella luce calda di un sole mediterraneo, nel fuoco di colori vivi: sofferenza e difficoltà dell’esistenza; ma anche entusiasmo. Inquietudine e insoddisfazione. Coraggio, forza, dolore, lotta della vita.
E tanto peggio se i teologi benpensanti, nei loro vecchi libri polverosi, dicessero che sarebbe più conveniente pensare altrimenti. Gesù si rialzerà dalla sua sculacciata, rimetterà la sua aureola, sua madre lo consolerà e noi ci rialzeremo con lui, noi sorrideremo asciugando le nostre lacrime per vivere con lui gli anni che Dio ci vorrà donare sotto il sole, come ha fatto lui.
Gilles Castelnau
Pastore della Chiesa Riformata di Francia, Parigi
I miei ragazzi del catechismo erano rimasti sorpresi quando, un mercoledì sera, ho mostrato loro una riproduzione di questo quadro.
Anche un po’ scioccati, come davanti a una specie di sacrilegio, si aspettavano senza dubbio che il parroco gli proponesse l’immagine di un saggio bambino Gesù sulle ginocchia di una Maria vestita del suo abituale abito blu pastello e del suo velo bianco, calma e buona.
Allo stesso tempo questo quadro li affascinava poiché osava mettere in mostra la profanazione della religione insipida e un po’ noiosa, che essi erano disposti a rispettare visto che erano stati mandati per questo al catechismo, ma percepivano che le sue grandi affermazioni dottrinali, i suoi dogmi ufficiali, le sue credenze spesso incomprensibili, non rispondevano affatto ai loro desideri, ai loro impeti, ai loro entusiasmi giovanili.
Max Ernst non è nostro contemporaneo. Aveva 80 anni quando dipinse a Parigi questa provocazione e i due personaggi rappresentati in sua compagnia dietro la piccola finestra sono i suoi amici André Breton e Paul Éluard. Come gli altri surrealisti Magritte, Miró o Dalí, lui immagina un mondo più vivo, più umano, quindi unico. I miei ragazzi avevano amato questo dipinto.
Maria e Gesù sono liberati dall’armatura dorata dei dogmi in cui la teologia bizantina li ha fissati e resi irriconoscibili. Max Ernst li rende più vicini a noi di quanto riescano a fare le immagini ufficiali che ci narcotizzano nel dipinto, proiettandoci in un mondo soprannaturale e irreale.
«Quindi Gesù è stato uno come noi», mi ha detto uno dei ragazzi. Lui ha avuto dei problemi, in alcune cose è senza dubbio riuscito in pieno, in altre è stato ostacolato. È stato punito, colpito. È stato disgraziato, ansioso, ma anche contento. Gesù, che ha perso la sua aureola, così come noi che da tempo abbiamo perso la nostra, non è un dio venuto per passeggiare un momento sulla terra, facendo finta di essere come noi. Egli è nostro fratello, condivide la nostra esistenza e lo si può ascoltare e amare molto meglio delle persone soprannaturali della santa Trinità, che sono talmente superiori, in-umane e allo stesso tempo inquietanti.
E Maria non somiglia affatto alle incredibili statue dolciastre e asessuate delle nostre chiese; è una madre viva e passionale. Ella ha conservato la sua aureola, ma è vestita di una camicia rosso violento che il verde della sua gonna fa ancor più risaltare e siede di sbieco su un masso e la mano che alza è potente e temibile.
Max Ernst li ha rappresentati nella luce calda di un sole mediterraneo, nel fuoco di colori vivi: sofferenza e difficoltà dell’esistenza; ma anche entusiasmo. Inquietudine e insoddisfazione. Coraggio, forza, dolore, lotta della vita.
E tanto peggio se i teologi benpensanti, nei loro vecchi libri polverosi, dicessero che sarebbe più conveniente pensare altrimenti. Gesù si rialzerà dalla sua sculacciata, rimetterà la sua aureola, sua madre lo consolerà e noi ci rialzeremo con lui, noi sorrideremo asciugando le nostre lacrime per vivere con lui gli anni che Dio ci vorrà donare sotto il sole, come ha fatto lui.
Gilles Castelnau
Pastore della Chiesa Riformata di Francia, Parigi
Fonte: Protestants dans la Ville
Traduzione di Gabriella Indolfi
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