Gaudium et spes

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Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti colóro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.

Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.


Era la Gaudium et spes: l'8 Dicembre 1965 Paolo VI chiudeva l'avventura del Concilio Vaticano II, consegnando alla Chiesa e all'umanità il mandato di dialogare a tutti i costi. C'era la Guerra Fredda, il terrore nucleare, e l'alternativa al dialogo era solo la fine del mondo. Ma leggendo quel testo, ci si accorge che non si trattava solo di una scelta di ragionevolezza, anzi si nota una passione per tutto ciò che è umano, anche se diverso e non ancora pienamente conosciuto, che fa la differenza tra chi costruisce ponti (e pontefice vuol dire proprio questo) e chi invece innalza muri sentendosi cittadella assediata. Il messaggio che la Chiesa affidava a se stessa e al mondo era che ogni uomo mi interessa, mi sta a cuore, perché è un mio familiare, perché fa parte della grande famiglia umana. Homo sum, humani nihil a me alienum puto.

In quel testo la parola famiglia viene ripetuta centinaia di volte, ma sempre pensando a una fratellanza che va al di là dei legami di sangue, che rompe i cerchi che circoscrivono i clan.

Quel documento molti della mia generazione l'hanno preso sul serio. Revisionismi e relativizzazioni di quel contenuto gioiosamente e speranzosamente esplosivo ce ne sono stati. Ma certo non è un ragionamento logico affermare che la situazione internazionale è cambiata e quindi non bisogna più prendere così sul serio la Gaudium et Spes. Come dire che amiamo l'uomo così com'è solo in determinati periodi storici?

Ed ecco ieri quell'adunanza di benpensanti.

Siamo scribi e farisei,
stiamo nel Family Day.
Tutti gli altri sono rei,
specie quelli lesbo e gay.


Non mi piace usare il Vangelo per dare forza alle mie argomentazioni. Ci voglio solo riflettere io per primo.

Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato»
. (Lc. 18,9-14)


Tornare a casa mia, giustificato.
Chissà che vuol dire per uno che stava talmente giù da non osare nemmeno di alzare gli occhi al cielo.
Soprattutto di tutti colóro che soffrono…
Ci vuole un cuore elastico perché dentro ci possa trovare eco qualcosa.

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