Diventerò un'ingegnera
«Diventerò un’ingegnera».
Lo cantava Peggy Seeger nel 1971.
Più di cinquant’anni fa.
Eppure, a distanza di mezzo secolo, quella frase suona ancora sorprendentemente attuale. Non come una conquista ormai acquisita, ma come una dichiarazione che deve ancora giustificarsi, spiegarsi, difendersi.
Perché?
Uno stereotipo che non invecchia
Quando una ragazza dice di voler diventare ingegnera, informatica, fisica o tecnica, troppo spesso la reazione non è neutra.
È un sorriso perplesso.
È una domanda mascherata da consiglio.
È un «ma sei sicura?» che raramente accompagna scelte considerate “più adatte”.
Non è un problema di capacità, né di interesse. È un problema culturale.
Uno stereotipo che resiste, cambia forma, si adatta ai tempi, ma continua a insinuarsi nelle scelte, nelle aspettative, nelle narrazioni.
Non è solo una questione di accesso
Qualcuno potrebbe obiettare: oggi le porte sono aperte.
Ed è vero, almeno formalmente.
Ma l’accesso non esaurisce il problema.
Perché anche quando le donne entrano nei percorsi tecnici e scientifici, le condizioni non sono equivalenti.
A parità di ruolo, competenze e responsabilità, la retribuzione media continua a essere più bassa.
Il gender pay gap non nasce nel nulla: è il risultato di carriere più frammentate, di minori possibilità di avanzamento, di un riconoscimento economico che arriva più tardi — o non arriva affatto.
In questo senso, lo stereotipo non si limita a orientare le scelte iniziali: ne accompagna e condiziona gli esiti.
La canzone come lente sul presente
La canzone di Peggy Seeger non è solo una testimonianza storica. È uno specchio.
Racconta l’ostinazione di una ragazza che vuole costruire, progettare, capire.
E racconta, soprattutto, il fastidio che questa determinazione provoca.
Fa impressione constatare quanto poco sia cambiato il sottofondo culturale.
Oggi le opportunità sono formalmente aperte, i diritti sanciti, i percorsi accessibili.
Ma l’immaginario — e le conseguenze materiali che produce — è più lento a evolvere.
Il punto non è “incoraggiare le ragazze”
C’è un equivoco ricorrente: si pensa che il problema si risolva incoraggiando di più le ragazze verso le STEM.
Come se mancasse loro il coraggio.
Come se fossero loro l’anello debole.
Il nodo vero è un altro: smettere di considerare eccezionale una scelta che dovrebbe essere normale.
E smettere di accettare come “naturali” differenze che, alla fine del percorso, si traducono anche in differenze di salario, di carriera, di riconoscimento.
Una domanda che resta aperta
Se oggi una ragazza dice: «Diventerò un’ingegnera», stiamo davvero ascoltando una frase qualsiasi oppure stiamo ancora sentendo una presa di posizione?Perché le scelte non si esauriscono nel momento in cui vengono fatte: continuano a produrre effetti nel tempo, spesso in modo silenzioso.
Quanto continuano a pesare gli stereotipi iniziali sulle opportunità, sulle carriere e sul riconoscimento — anche economico — che arrivano dopo?
🎶 Playlist: Oltre l'ingegneria, voci di emancipazione e lavoro
Quella di Peggy Seeger non è un'eccezione.
Nel tempo, molte altre canzoni hanno raccontato — da angolazioni diverse — lo stesso attrito tra aspirazioni, stereotipi e riconoscimento.
Le ho raccolte qui sotto, come tracce di una storia che continua a ripetersi.
Classici storici di emancipazione
- "I Am Woman" – Helen Reddy (1972)
Un inno universale di forza e autodeterminazione femminile, simbolo della liberazione delle donne negli anni ’70 - "You Don't Own Me" – Lesley Gore (1963)
Una dichiarazione netta di indipendenza: non essere definita o controllata da nessuno, un ideale che attraversa ancora le scelte di studio e di carriera. - "9 to 5" – Dolly Parton (1980)
Una ballata che denuncia lo sfruttamento nel lavoro e il soffitto di cristallo: la quotidianità e il riconoscimento economico sono parte della stessa lotta.
Voci di ribellione e prospettive moderne
- "The Man" – Taylor Swift (2019)
Un brano molto attuale che si sposa perfettamente con il finale di Peggy Seeger. Taylor Swift si chiede: "Sarei un leader, sarei il tipo coraggioso... se fossi un uomo?". - "Hard Out Here" – Lily Allen (2013)
Una critica tagliente e ironica ai doppi standard nel mondo del lavoro e dell'immagine, dove a una donna è richiesto sempre il doppio per valere la metà. - "Put a Woman in Charge" – Keb' Mo' feat. Rosanne Cash (2018)
Un invito esplicito a dare spazio alla leadership femminile, sottolineando che bilanciare ruoli e prospettive sociali non è solo giusto, ma strategico.
E in Italia?
"Ragazze posate" – Erica Mou (2018)
Una riflessione sulla socializzazione femminile fin dall’infanzia: essere “posate” può significare rinunciare a curiosità, scelta e libertà.

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