Il vero dramma di Beethoven



Il vero dramma di Beethoven
Achille Campanile - Vite degli uomini illustri - 1975

Che Beethoven fosse sordo tutti lo sanno. Ma il suo vero dramma non lo conosce nessuno. Si dice: «Pensate! L'autore di musiche immortali, sordo! Non potè mai udire le proprie composizioni. Le aveva dentro di sé, ma non potè mai provarle con l'orchestra, non potè mai avere la soddisfazione di udirle eseguite, mai deliziarsi alle proprie musiche celestiali che dovevano mandare in delirio milioni di ascoltatori».

E tutti si commovono al caso del musicista che non potè gustare la propria musica eseguita da strumenti e voci.

Ma questo è niente. La cosa veramente triste, in relazione alla sordità di Beethoven, è che il grande musicista credeva di comporre ballabili scapigliati, per la delizia dei trattenimenti familiari. Essendo sordo, non potè mai udire le proprie composizioni e rimase sempre convinto di aver composto musica leggera. Quando, per esempio, si eseguiva la Nona in pubblico, Beethoven, vedendo tutti gli ascoltatori seduti e gravi, con facce serissime, diceva entro di sé: Un altro insuccesso. Questo ballabile non è piaciuto.

Non si spiegava il contegno del pubblico.

Possibile, pensava certe volte, che nessuno si metta a ballare? Che tutti abbiano queste fisionomie compunte, manco si trattasse d'una marcia funebre, (il disgraziato ignorava che gli era venuta fuori proprio una marcia funebre) invece di sentirsi la smania nelle gambe? Si ballano certe porcherie di mazurche e polche di maestrucoli da strapazzo, e le mie no!

Nessuno, per un rispetto alla suscettibilità del Grande Sordo, gli rivelò mai l'atroce verità. Nessuno gli disse:

«Guarda che non ti è venuto un valzer, ti è venuta una sinfonia». Che, se gliel'avessero detto, la volta successiva Beethoven avrebbe potuto cambiare stile. Ma andate un poco a dire una cosa simile a un caratterino come quello del colosso di Bonn! Si sa ch'egli non voleva si sapesse ch'era sordo. E poi, andare a dirgli proprio: «Sai, hai composto una cosa che è lontana le mille miglia da quello che ti proponevi»!

Del resto, nessuno glielo disse mai anche perché Beethoven, poco espansivo a causa della sua infelicità, mai disse che aveva inteso comporre dei ballabili. Così gli ascoltatori erano convinti che avesse voluto comporre una sinfonia, lui era convinto d'aver composto un valzer e l'equivoco non si potè mai chiarire.

Senza contare che, se anche glielo avessero detto, Beethoven non ci sentiva.

Così il grande artista morì con l'amara convinzione di essere un autore di valzer e canzonette brillanti che «non andavano».

Ma non vi ho detto tutto. Beethoven aveva un amico sordo come lui. Non vi so dire se l'avesse conosciuto nell'anticamera del medico degli orecchi o alla clinica dei sordi, che talvolta frequentava.

Tra parentesi: il più grande desiderio di Beethoven era di lavorare per i propri compagni di sventura.

Come vorrei offrire, diceva, un concerto gratuito delle mie musiche all'istituto dei sordi!

E una volta offrì questo concerto.

Compose anche l'inno dei sordi. Un inno che quegli infelici intonavano nelle loro riunioni solenni.

Basta, dicevo che Beethoven aveva un amico sordo che spesso andava a trovarlo. Costui vedeva il grande musicista intento a coprire di segni neri il pentagramma, ma non aveva la più lontana idea di quello ch'egli facesse. Essendo un sordo nato non aveva nemmeno il concetto della musica. Però vedeva che con quei fogli il grande musicista otteneva poi notevoli successi. Il brav'uomo pensò di fare altrettanto. Si mise anch'egli a coprire di segni il pentagramma. A caso, naturalmente, poiché ignorava che a quei segni dovevano corrispondere suoni. Credeva che il bello della cosa consistesse nella disposizione dei segni, nel capriccio, nella bizzarria, nell'ordine in cui eran messi sul rigo musicale. E si stupiva perché il proprio lavoro, che egli riteneva più estetico di quello di Beethoven, non gli procurava i successi dell'amico. Un giorno volle persino dirigere un concerto. Naturalmente l'orchestra fingeva di suonare. Ma lui non se ne accorse.

Abbiamo, signori, scherzato un poco sulla sordità. Ma questa è una grande infelicità. Un sordo mi disse che è peggio esser sordi che ciechi. Certo, il sordo è proprio isolato dal mondo, spiritualmente. Questi nostri scherzi non sembrino irriverenti, ma valgono ad attirare su quei meschini l'attenzione dei buoni.

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